martedì 30 settembre 2014

Nadine Gordimer, una vita contro l'apartheid


Si è spenta lo scorso 14 luglio all'età di novant'anni nella sua casa di Johannesburg la scrittrice sudafricana Nadine Gordimer, premio Nobel per la letteratura nel 1991. Vicinissima a Nelson Mandela, fin da giovanissima aveva scelto di spendere la vita nella lotta al razzismo e all'apartheid.


Fondamentale nella sua formazione la figura della madre, che le diede un'educazione laica e libera. Fu lei a spronarla ad interessarsi al mondo e a farle conoscere la difficile situazione in cui versava la popolazione di colore. Gli anni dell'università a Johannesburg segnarono la svolta nel suo percorso: ebbe l'opportunità di entrare in contatto con l'African National Congress, all'epoca organizzazione clandestina, appassionandosi alla battaglia della dignità e dell'uguaglianza.

Negli anni '60 l'incontro con il leader della lotta all'apartheid, Nelson Mandela. La Gordimer supportò apertamente Mandela durante il processo che lo vide imputato per sovversione e terrorismo e collaborò alla stesura di “Sono pronto a morire”, il lungo discorso che Mandela lesse dal banco degli imputati durante il processo.
La carriera letteraria della Gordimer si aprì piuttosto presto, all'età di quindici anni. Non ancora diciottenne vide pubblicati i primi racconti sul “New Yorker”. Del 1953 il primo romanzo, “I giorni della menzogna”, ambientato a Springs, città natale di Nadine. Il libro, dai forti tratti autobiografici, narra come una giovane donna bianca acquisisca consapevolezza della segregazione razziale vigente in Sudafrica. Il tema dell'apartheid resterà protagonista anche delle due opere successive della Gordimer, “Un mondo di stranieri” e “Occasione d'amore”, scritte rispettivamente nel '58 e nel '63. All'indomani della rivolta di Soweto, nel 1979, la Gordimer pubblica invece “La figlia di Burger”, storia di una donna che analizza il rapporto con il padre, martire del movimento anti-apartheid. Il romanzo fu vietato dal governo di Pretoria poco dopo l'uscita poiché giudicato 'unilaterale' e 'sovversivo'. Il percorso letterario della Gordimer sulla segregazione razziale giunge al culmine nel 1981, con “Luglio”. In quel libro la scrittrice ipotizza un Sudafrica del futuro in cui la popolazione di colore prenda drammaticamente e rabbiosamente il sopravvento su quella bianca.

Le opere della Gordimer, da sempre apprezzate a livello internazionale, ricevono la definitiva consacrazione nel 1991, con il conferimento alla scrittrice del Premio Nobel per la Letteratura. «Per essere stata di enorme beneficio all’umanità grazie alla sua scrittura magnifica ed epica»: questa la motivazione del riconoscimento, a sancire un impegno che nelle pagine dei libri ha trovato la più luminosa delle espressioni.

La fine dell'apartheid non segna la conclusione del percorso civile della Gordimer. A partire dagli anni 2000 si dedica all'attivismo nel movimento per la lotta all'Hiv, cercando di sensibilizzare la popolazione e le istituzioni sul tema della prevenzione e cura. Da una sua idea nasce nel 2004 “Storie”, progetto benefico per la raccolta di fondi che coinvolge 20 fra gli scrittori più celebri a livello internazionale.

Qualche mese fa, nell'ultima intervista concessa ad un giornale italiano, aveva confessato a “Repubblica” di essere malata di cancro, preannunciando l'imminente addio alla narrativa. Con la Gordimer se ne va non solo una testimone preziosa di un'epoca, ma anche uno dei più lungimiranti scrittori del Novecento.



© UCT - Uomo Città Territorio - Agosto-Settembre 2014

Nessun commento:

Posta un commento