giovedì 11 settembre 2014

La Scozia e la secessione in stile british


Pare incredibile, ma 307 anni di storia comune potrebbero non essere stati sufficienti a cementare il legame fra Inghilterra e Scozia all’interno del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. Se questo è vero lo sapremo fra pochi giorni, quando il referendum indetto dal governo di Edimburgo ci dirà se il matrimonio celebrato oltre tre secoli fa è destinato a durare o a terminare con un divorzio più o meno consensuale.
Quella che fino ad alcune settimana fa sembrava solo una remota possibilità, la secessione della Scozia, con l’avvicinarsi del 18 settembre,  pare diventare un’evenienza sempre più verosimile. Qualche giorno fa, per la prima volta dall’inizio della campagna referendaria, i sostenitori del “sì” all’indipendenza hanno superato nei sondaggi la soglia del 50%.

Ma cosa c’è dietro il referendum? Si potrebbe dire che in egual misura cuore e portafoglio concorrono a spingere al seggio i cittadini scozzesi. Non c’è dubbio che la Scozia abbia una fortissima identità nazionale, spesso molto distante da quella dei vicini inglesi. La stessa organizzazione sociale si ispira più a quella delle socialdemocrazie scandinave che a quella della ultraliberale di Londra. Sarebbe però ipocrita tacere il fatto che la richiesta d’indipendenza sia supportata da altrettanto rilevanti motivazioni economiche. Alcuni dati: la Scozia occupa più di un terzo del territorio britannico, a fronte di una popolazione di poco superiore ai 5 milioni di abitanti, un decimo rispetto a quella inglese. Nelle sue acque si annida però il 90% dei pozzi petroliferi del Regno Unito. Se pensiamo che il 60% del greggio estratto ogni anno in Europa è britannico, possiamo ben comprendere su quale tesoro galleggino gli scozzesi. Miliardi di barili, che da soli, si calcola, andrebbero a formare il 20% del PIL del nuovo stato.

A sbalordire noi calienti cittadini dell’Europa mediterranea, abituati a strillare e scalpitare per molto meno, è però il british aplomb con cui Inghilterra e Scozia si stanno giocando il match che deciderà del futuro di entrambe. Dopo aver concesso nel 1997 la devoluzione di numerose competenze al parlamento scozzese, Westminster promette ora di rispettare senza interferenze l’esito del referendum.

L’Unione Europea, dal canto suo, finge neutralità, parteggiando però nei fatti per gli unionisti di Londra. Il Presidente della Commissione, Barroso, ha infatti chiarito che al neonato stato di Scozia non sarà riservata nessuna via preferenziale per l’adesione alla UE ma la le aspetterebbero anzi almeno tre anni di anticamera.
Pochi giorni e sapremo se tutto questo sarà sufficiente a scoraggiare gli indipendentisti scozzesi.

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